martedì 29 maggio 2012

7 - Il Castello nel Cielo, più che volare, plana.


Tornavo proprio ieri sera dalla visione di questo film d'animazione giapponese e, anche se in ritardo di ventisei anni, credo che si meriti un paio di frasi. A quanto pare Miyazaki sembra l'unico regista giapponese che non viene classificato come 'Ah, i Pokemon' oppure come 'Goku'. Essì perché parli con un parente, un passante o il tuo tabaccaio, magari ci parli anche di cinema e ti scappa 'Vado a vedere un film d'animazione giapponese ( un anime )' e ti rispondono con 'A me quelle robe dove si menano e urlano non piacciono. Mio nipote le guarda, chiedi a lui.' No ma, a parte questi excursus di vita di quartiere, Miyazaki non ne sbaglia una eh. Certo, è il suo terzo film, il primo con lo Studio Ghibli e non è espressivo come i più famosi e i più amati, però allude a molti temi sicuramente interessanti e a cui lui è particolarmente legato.
Voglio dire, sì, è Miyazaki, ma non è tutto oro colato quello che partorisce. Questo film ha degli spunti buoni ma messo a confronto con la sua produzione non raggiunge forse la sufficienza. Laputa ( il nome dell'isola volante su cui si erge il castello ) si mantiene su un profilo basso rispetto ad altre opere dello stesso autore, non spiccando sicuramente per l'originalità né per un'analisi approfondita di quelle tematiche di cui parlavamo prima e di cui si tratterà meglio in seguito. Lo stile è legato ancora al suo primo periodo, quello di Nausicaa o della prima serie di Lupin III, ma la poetica si può comunque percepire nei paesaggi naturali e nelle macchine ( sia i robot, sia gli aerei ) curati personalmente da Hayao.  Come sempre partiamo da un piccolo occhiello sulla trama: C'è questa Sheeta che possiede una pietra dal potere gravitazionale e viene trovata da un ragazzino operaio che abita da solo, Pazu, che la salva da Aviopirati e dall'Esercito. Eccerto, perché è inseguita da tutti per via della pietra maggica. Insomma si arriverà a Laputa, questo castello nel cielo, e dopo qualche monologo del supercattivo finisce tutto e vissero felici e contenti. Ho saltato a piè pari dosi di storia per evitare anche il più piccolo spoiler. La storia si muove in modo lineare, che dire lineare è un complimento in questo caso. Gli eventi sono già scritti da tre scene prima, capisci qualsiasi cosa perché te la spiattellano in faccia. Ok, sì, è dell'86, ma non è che dal nulla questa ragazzina prima dice 'Ah non so cosa sia questa pietra' e poi mano a mano esce fuori che le hanno insegnato le parole magiche per usarla, eddai.


Vincitore del premio 'Supercattivo d'oro' è Muska, uno degli uomini con gli occhiali scuri che trattano col governo. Un tizio col parrucchino e degli occhiali che si illuminano e scintillano quando pronuncia una frase malvagia. Questo effetto è molto in voga tra gli animatori giapponesi, ma con lui davvero faceva ridere la cosa. Il suo grande potere è una piccola magnum calibro 44 e nel momento clue del film Pazu gli chiede di poter parlare con Sheeta. Muska accetta e concede tre minuti ai due ragazzini. Detta così forse non rende l'idea, ma dovete capire che fino a due secondi prima voleva ammazzarli e stava sparando alla cieca contro di loro, appena il tipo gli chiede di temporeggiare accetta.. che uomo d'onore. Laputa ( e non La Puta, qualcuno in sala credeva fosse un film porno spagnolo ) è ovviamente un tributo al mondo onirico di Swift e dei viaggi di Gulliver. La base ovviamente è quella tratta esplicitamente dal libro ( lo dicono anche nel film stesso ),  e Laputa è uno dei regni in cui Gulliver va a capitare, confrontandosi con una tecnologia avanzatissima ma senza una relazione con la realtà. Le tematiche del film di Miyazaki sono varie, lui riesce a trattare tanti tipi di aspetti umani grazie a quei pochi archetipi ricorrenti: la ragazzina, la vecchia, il luogo magico. Qui ci troviamo davanti alla critica verso il potere che cerca di distruggere la natura, parteggiando verso una posizione più ambientalista, antimilitare e dai forti accenti buonisti. Il finale del Castello nel Cielo si ricollega però ai racconti di Swift, arrivando alla conclusione che della terra si ha bisogno e la tanta tecnologia, fine a se stessa, è destinata a collassare. Il film è comunque una pellicola gradevole, che non è invecchiata benissimo soprattutto se messa a confronto con altri capisaldi dello stesso genere, ma che può far trascorrere piacevoli momenti, soprattutto durante le scene in cui si esalta e si osanna la comunione di tecnologia e natura.


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